La mafia in casa mia

“La mafia in casa mia” di Felicia Bartolotta Impastato con Anna Puglisi e Umberto Santino (Trapani, Di Girolamo, 2021) è una testimonianza sofferta e coraggiosa di lotta alla mafia che parte da un’intervista del 1984 e arriva alla morte della protagonista, Felicia Bartolotta Impastato, nel 2004. Racconta attraverso la stessa intervista e stralci di altre documentazioni la convivenza in casa con la mafia a Cinisi nel palermitano, in un territorio dominato a lungo dal clan di Tano Badalamenti. Come detto protagonista è Felicia, il marito Luigi mafioso, il figlio Giuseppe voce fortissima di denuncia contro la mafia, assassinato per questo motivo il 9 maggio del 1978. La storia è anche quella della lunga battaglia contro le connivenze entro le istituzioni, dei tentativi di depistaggio e delle tante archiviazioni che volevano far passare l’assassinio per il suicidio di un terrorista mentre preparava un attentato. Una storia quindi di resistenza contro un ambiente ostile e omertoso, e di lotta per la giustizia per portare speranza in mezzo a una rassegnazione che è anche habitus culturale. Per incrinare un dominio e una cappa feudali.

Giuseppe il figlio che attraverso una radio (Aut-aut) e l’attività giornalistica e la militanza politica in Democrazia Proletaria non si stanca per 15 anni di denunciare, arrivando ad affermare che “la mafia è una montagna di merda”. Il padre Luigi che lo manda via di casa, ma che prima di morire in un incidente sospetto protesta che per uccidere il figlio dovranno uccidere lui.

Felicia passa dalla paura, alla consapevolezza, alla lotta determinata per la verità. Divenendo un simbolo per chiunque voglia opporsi all’habitus culturale cui accennavo. Dopo i tipici depistaggi iniziali, grazie a Rocco Chinnici (assassinato pure lui nel 1983) e ad Antonino Caponnetto nel 1984 riesce a ottenere un primo parziale riconoscimento: la morte del figlio è un omicidio di mafia, ma di cui non si conoscono i mandanti. Solo nel 2000 potrà testimoniare finalmente al processo contro Badalamenti, ormai anziano.

La sua lotta anche attraverso l’opera del “Centro documentazione Impastato” creato da Anna Puglisi e Umberto Santino nel 1977, che successivamente prende il nome di Giuseppe Impastato per farne conoscere la storia quando ancora veniva tacciato di essere un terrorista.

 


Recensione di Giusi D’Urso, nata a Torino il 25 Novembre 1967, laureata in Filosofia a Firenze, sta completando il percorso per l’iscrizione all’albo dei pubblicisti di Firenze. Da qualche anno si occupa di studi di genere. Appassionata di Scienza. Volontaria di Pax Christi Italia.