Strage di Alcamo Marina 1976

In una piccola postazione di servizio, ad Alcamo Marina, vennero ritrovati i corpi di due
carabinieri poco più che ventenni, Carmine Apuzzo e Salvatore Falcetta: una strage a sangue freddo, della quale, all’inizio furono incolpati quattro alcamesi (Gulotta, Santangelo, Ferrantelli, Vesco) e un partinicese (Mandalà). Dei cinque Mandalà è morto in carcere di cancro, Vesco, come scritto da lui stesso alla madre, “è stato suicidato”, sei mesi dopo il suo arresto, malgrado avesse un braccio solo, Gulotta, massacrato di botte, assieme a Ferrantelli e Santangelo, è stato costretto a confessare un delitto che non aveva commesso, è stato condannato all’ergastolo e liberato dopo 20 anni, perché riconosciuto innocente: gli altri due sono scappati in Brasile. Ma il caso di Vesco è ancora più inquietante: si è detto che era un anarchico, ma forse neanche lui sapeva di esserlo. Venne arrestato alcuni giorni dopo il delitto, perché trovato in possesso di una pistola; durante una sua precedente detenzione al carcere di Favignana avrebbe frequentato un brigatista rosso che gli avrebbe fatto “prendere coscienza”. Chi conduceva le indagini, cioè l’allora capitano Russo, si è lanciato a testa bassa verso un’ipotetica pista rossa incolpando prima le Brigate Rosse, che hanno subito smentito, e poi effettuando una serie di perquisizioni presso le case di esponenti noti di estrema sinistra, cinque a Castellammare e tre a Cinisi, compresa quella presso la casa di Peppino Impastato. Il pentito Vincenzo Calcara, al processo per Gullotta ha sostenuto che i due carabinieri furono uccisi perché avevano fermato un mezzo con
un carico di armi destinate all’organizzazione parafascista Gladio, che, nella zona limitrofa aveva una base. Secondo Calcara i due militi sarebbero stati uccisi da emissari della mafia alcamese, su probabile ordine di esponenti di Gladio. Il delitto venne scoperto dagli uomini della scorta di Almirante che, trovandosi di passaggio, alle sette di mattina, videro la porta della casermetta aperta, si fermarono, vi entrarono e trovarono i cadaveri. Chi li aveva informati che avrebbero trovato i due agenti uccisi? Perché è chiaro che non potevano trovarsi lì, vedere una porta aperta ed entrare. Cosa c’entra Almirante? Cosa c’entra Gladio? Cosa c’entra la mafia? Di Russo, si dice che fosse affiliato alla massoneria e, secondo Buscetta, era tra quelli disponibili ad appoggiare il colpo di stato di Junio Valerio Borghese. La stagione dei depistaggi, delle trame occulte, delle connessioni tra massoneria, servizi segreti, mafia e politica rimane ad oggi una pagina nera e misteriosa della storia italiana.

«Una trama che coinvolge “l’ombra di Gladio e mafia dietro il duplice delitto” come si evince dal dipinto. Una Pagina di storia che ha richiesto 46 anni per “fare giustizia”. Un eccidio pagato da 5 innocenti le cui confessioni sono state estorte con le sevizie, come si legge nell’opera stessa che, attraverso l’arte visiva contribuisce alla memoria della Strage di Alcamo Marina, rendendola viva nell’immaginario collettivo per non dimenticare. Immagini con una forte carica divulgativa, una pittura non a fini di lucro ma per denunciare in maniera costruttiva e realizzare percorsi di solidarietà verso chi ha sofferto e ha pagato sulla propria pelle ingiustizie sociali e non solo».

Sebastiano Bonventre, Sindaco di Alcamo